In questi giorni stiamo arrivando alle battute finali della trattativa tra Fiat e i Sindacati relativamente al futuro industriale dell’impianto sito a Pomigliano d’Arco.
Dopo l’incontro di venerdi scorso, quasi tutti i sindacati hanno concluso l’accordo con la Fiat, solo la Fiom è apertamente contraria mentre la Cgil sembra nicchiare: la soluzione è stata quella di indire un referendum e lasciare che siano i lavoratori dello stabilimento a decidere.

Per comprendere bene l’importanza di questa trattativa dobbiamo considerare che questo sito industriale dà lavoro direttamente a 5000 persone, senza contare l’indotto che conta almeno altre 10.000 persone, e per poterlo rendere competitivo, la Fiat intenderebbe investirci 700 milioni di euro.

I sindacati è giusto che facciano il loro lavoro, ovvero tutelare i lavoratori, ma devono anche rendersi conto del mutato rapporto mondiale e che il mercato è molto più competitivo di prima. A livello globale, l’Italia non è più il primo mercato per la Fiat, che vende molte più auto in Brasile (oltretutto un paese con tassi di crescita enormi) e presto si apriranno i mercati americani, dove la Chrysler grazie alla cura di Marchionne sta rinascendo, tanto che i sindacati americani pubblicamente hanno solo parole di elogio per il manager italiano. I concorrenti lavorano con tassi di produttività molto superiori allo stabilimento di Pomigliano (ma inferiori ad altri stabilimenti Fiat come quello in Polonia, in Serbia o a Melfi in Italia) e con costi molto inferiori.
Le stesse competenze, se prima erano specifiche di poche nazioni, ora sono facilmente replicabili ovunque, e il rischio concreto è che questi 700 milioni di Fiat e questi posti di lavoro vengano spostati all’estero, come stanno facendo molte altre aziende (ad esempio la Glaxo o la Bialetti giusto per citarne un paio, ma potrei ricordarne tante altre).
Di questo se ne sono resi conto gli altri sindacati che hanno accolto positivamente la volontà di Fiat di investire, e anche i politici si accodano a questa decisione.
Infatti se Casini afferma che è assurdo non firmare esponendosi in prima persona, anche gli altri politici seguono la stessa opinione del leader centrista affermando come fanno Sacconi, Bersani e altri che è necessario firmare questo accordo.

Quel che più preoccupa è il suicidio, a mio avviso, annunciato da Cremaschi della FIOM, che afferma che il suo sindacato non firmerà l’accordo anche se i lavoratori, con il referendum sopradetto, si esprimeranno a favore dell’accordo con Fiat.
E questo mi preoccupa perchè mostra un sindacato che preferisce fare politica, tradendo la sua vocazione, il suo scopo e soprattutto il mandato di chi lo compone, ovvero essere portavoce della volontà dei lavoratori.
Soprattutto è preoccupante che un sindacato dica espressamente di volere ignorare la volontà dei suoi aderenti, creando quindi una frattura tra la base e i vertici che assurgono a dei dittatorelli da repubblica delle banane.